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Vi racconto la fatina Musa
Una storia di integrazione raccontata da una docente di Scuola Primaria manfredoniana


di Redazione

Manfredonia, 17 novembre 2012.

Nell’avvilente realtà degli immani tagli al settore dell’istruzione scolastica continuano a brillare esempi di insegnanti encomiabili. Persone che vanno ben oltre i propri doveri professionali, ma si ritrovano troppo spesso a fare di necessità virtù ed industriarsi, adattarsi, prodigarsi, per svolgere il delicato lavoro di educatori, con la collaborazione delle famiglie, degli alunni.
Qui di seguito leggete quello che ci ha scritto una docente di scuola primaria manfredoniana. Non pubblicheremo il suo nome e quello della bambina protagonista della sua riflessione. In quest’ultimo caso abbiamo utilizzato un nome di fantasia: Musa, la fata della musica di un gruppo che piace tanto alle bambine, così come la Musa di Manfredonia è la fatina della sua classe, della sua insegnante e di tutti i suoi affetti.


Vi racconto la fatina Musa…

Nella primavera 2010 il dirigente scolastico mi comunicò l’iscrizione di un’alunna affetta da autismo che sarebbe stata inserita in un futura classe prima. Ho riflettuto su quella situazione e, visto che dovevo avere una classe prima, quasi come accettare una sfida, gli proposi di inserirla nella classe dove sarei stata assegnata. Per me era un’esperienza completamente nuova. In precedenza avevo avuto in classe alunni in difficoltà ma così mai. Cominciai a documentarmi sulla rete che offre tanti suggerimenti. Avevo visto alcuni film sull’argomento: Rain Man, Buon compleanno mister Grape, Mi chiamo Sam. Mi sembrava tutto facile…
A fine giugno 2010, dietro autorizzazione del dirigente, ho contattato la famiglia per avere qualche informazione e, avendone percepito la disponibilità, ho invitato la stessa a venire a scuola con la bambina per poterla conoscere ma soprattutto, perché lei cominciasse a prendere amicizia con la nuova realtà della scuola. La mattina di uno degli ultimi giorni di giugno arrivano a scuola la mamma, il papà, la sorella e lei… Musa. La prima cosa che mi ha colpito di lei sono stati i suoi occhi, che se pur un po’ persi nel vuoto, ti dicevano qualcosa. E quel visino… L’ho subito chiamata la fatina e cosi la chiamo tutt’ora. Lei ha girato per l’aula mentre io discorrevo con i genitori: la mamma un po’ timorosa, il papà si è subito espresso: “Maestra noi non chiediamo niente! Vogliamo solo che nostra figlia venga accolta! Troppi sono stati i dispiaceri e le umiliazioni che abbiamo subito in questi anni. Quattro anni di scuola materna dove l’hanno sempre tenuta isolata dagli altri bambini perché dava fastidio”.
Li ho rassicurati, dando loro l’unica certezza che in quel momento avevo da dare: da parte mia c’era tutta la voglia di intraprendere quella nuova esperienza anche se sicuramente non facile e piena di incognite. Soprattutto speravo che l’insegnante di sostegno che le sarebbe stata assegnata avrebbe avuto la stessa mia idea. Sarebbe stata infatti una nuova docente che arrivava nella nostra scuola per trasferimento. Il primo settembre l’insegnante ha preso servizio e subito è stata informata dell’assegnazione alla bambina. All’inizio si è sentita un po’ in imbarazzo perché anche per lei sarebbe stata una nuova esperienza. Per quanto mi riguardava, le ho detto che non le avrei mai fatto mancare il mio sostegno.
Primo giorno di scuola, il cortile è pieno di bimbi entusiasti e di genitori in attesa. C’è anche Musa con la sua mamma. Al momento della formazione della classe, lei è salita con noi ma non è voluta entrare. La mamma è molto imbarazzata, è evidente… tanti genitori, tanti bambini... e Musa che grida il suo disappunto. Così decide di riportarla a casa. Intanto i miei piccolini in classe mi chiedono: “Maestra, ma quella bambina è cattiva? Perché non vuol venire a scuola?”. Ed io: “Quella bambina si chiama Francesca! È rimasta un po’ spaventata da tutta la confusione che abbiamo fatto… da tutta la gente che era nei corridoi. Lei vuole scegliere la classe più bella, la classe che vorrà averla come compagna. Lei non sa ancora parlare. Non potrà mai chiedere se voi volete essere suoi amici, lei vi guarderà e capirà. Che ne dite, vogliamo metterci alla prova? Vogliamo dimostrare che siamo dei bambini bravi più di tutti gli altri? Lei per qualche giorno starà nel corridoio per osservare e poi sceglierà la classe più bella. E se sarà la nostra? Pensate che fortuna!”.
Così passano altri due giorni, Musa non vuole ancora entrare. Si dimena nei corridoi perché vuole scappare. La mamma continua a dispiacersi perché secondo lei ci dà troppo fastidio e che se non fosse stato un obbligo, la bambina non l’avrebbe mai portata a scuola. Il terzo giorno dico alla collega di sostegno: “Stamattina Musa dovrà entrare in classe! Urlerà, piangerà, ma deve entrare, se pur per un tempo breve”. Quando arriva, in accordo con la mamma, decidiamo di farla entrare di forza. Lei sarebbe tornata a prenderla dopo un paio d’ore. Per quasi un mese siamo andati avanti così… urla… strepiti… appena la porta si apriva, lei scappava.
Intanto i tempi di permanenza in classe andavano via via aumentando. Non so neanche io come abbia potuto lavorare con altri 23 piccolini con lei. Ma la volontà era forte e, anche se in quelle prime settimane non sono riuscita a fare quello che avrei voluto con gli altri alunni, adesso mi rendo conto che ne è valsa la pena. Musa girava per l’aula, toccando alcuni amici in particolare (c’è da dire che il resto della classe stava maturando un atteggiamento di accoglienza tale, che spesso alcuni di loro mi chiedevano: “Maestra perché Musa da me non viene mai?” – “Verrà, verrà, datele tempo… lei vi vuole conoscere un po’ per volta”).
E così il primo anno è passato. Musa aveva frequentato per 14 ore settimanali, perché per ben tre giorni a settimana si recava nelle ore del mattino presso il Centro di riabilitazione cittadino per la terapia solita. In occasione dell’ultimo Gruppo di lavoro fatto intorno a maggio 2011, ho proposto di poter aumentare i tempi di permanenza a scuola della bambina, chiedendo se fosse possibile che le terapie al Centro le facesse di pomeriggio. Devo dire che in un primo momento non sono stata ascoltata, ma poi… si sono decisi. L’alunna si recava e tuttora si reca al centro di pomeriggio tranne che in un solo giorno. Pertanto frequenta la scuola per 22 ore settimanali. Al mattino per 2 ore fa attività individualizzate, basate sull’ascolto della musica, sulla psicomotricità, sulla motricità fine.
Ha imparato a riconoscere e ad orientarsi in tutti gli spazi della scuola, riconosce i collaboratori scolastici ai quali chiede la chiave dell’aula di musica dove è solita andare, riconosce tra le chiavi della bacheca quella dell’aula di musica. Saluta le insegnanti con un bacio sia al mattino che quando va via. Per pochissimi minuti riesce a fare il girotondo con alcune delle compagne di classe. Sa andare a prendere il materiale nell’armadio… quando ne ha voglia… perché dovete saper che Musa è un po’ testarda e spesso non vuole ubbidire. Ma basta qualche giorno che poi acquisisce quello schema e lo ripete. Ha acquisito la scansione temporale della giornata scolastica. Lei sa che ad una certa ora deve lasciare l’aula di musica per tornare in classe e fare merenda con i compagni con i quali rimane fino alla fine della giornata. Qualche obiettivo lo abbiamo raggiunto anche grazie al “ricatto”.
L’unico rammarico che ho, per non chiamarla rabbia, è questo. Già dallo scorso anno ci stiamo accorgendo che Musa articola dei suoni ben precisi e significativi: No, no (per dire no)-ca-ca (casa)- mio mio, ma ma, toc-toc. Nell’ultimo gruppo di lavoro del maggio 2012 ho proposto all’équipe dell’ASL se non fosse il caso di intraprendere un percorso di logoterapia. Il neuropsichiatra mi ha risposto testualmente: “Signora, siete fissata con questa logoterapia. Alla bambina è precluso un qualsiasi progresso cognitivo”. Tutto questo mi ha trovato in pieno disaccordo. Probabilmente ha ragione lui, lui è l’esperto ed io una semplice maestra… ma se Musa ha fatto tanto, perché non tentare. E poi tutto il lavoro svolto dalle insegnanti e dalla famiglia che ampiamente collabora? È stato come veder crollare tutti i nostri sforzi e sacrifici. Anche a me sarebbe piaciuto fare lezione con gli alunni “normali” e non avere fastidi dalle grida o dal girovagare di Musa da un banco all’altro… ma sarei venuta meno ad un impegno professionale e soprattutto a quella promessa fatta ai genitori due anni prima.
Settembre 2012, terza elementare. L’insegnante che ha seguito Musa per due anni ha dovuto trasferirsi perché sovrannumeraria. Pertanto a Musa è stata assegnata una nuova insegnante, che è partita col piede giusto, nel senso che ha preso a cuore il caso, ma dopo due settimane si è assentata e l’assenza durerà per tutto l’anno. Qui sono cominciati i disagi. Per un mese abbiamo dovuto seguire la bambina utilizzando le disponibilità dei docenti della scuola nell’attesa di poter nominare una docente supplente che finalmente è arrivata il 17 ottobre.
Per Musa non è stato facile. Però c’è da dire che ha accolto la nuova insegnante e la accetta a patto che le faccia fare quello che vuole. Certamente questo è un periodo di osservazione per la nuova docente, ma adesso è ora di fissare un obiettivo e di perseguirlo a tutti i costi: quello di riavere la stessa scansione della giornata scolastica che aveva prima, perché per il momento lei passa quasi tutte le ore scolastiche nell’aula di musica.
 


 
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