di Giusy Carbonaro
Cari amici e
amiche,
Pavel
Friedman fu deportato nel campo di concentramento di Theresienstadt nella città
fortezza di Terezín situato nell'attuale Repubblica Ceca. Poco si sa della sua
vita prima dell’ingresso nel campo di concentramento dove il suo arrivo fu
registrato il 26 aprile 1942. Nel giugno dello stesso anno scrisse il
poema "La farfalla" su di un pezzo di carta sottile che fu scoperto
dopo la liberazione e successivamente donato al Museo ebraico di Praga. Il 29
settembre 1944 fu deportato ad Auschwitz, dove morì. Il testo di “The
Butterfly” è stato incluso in molte raccolte di letteratura per bambini
sul tema dell'Olocausto, in particolare nell'antologia “I Never Saw Another
Butterfly”, pubblicata per la prima volta da Hana Volavková e Jiří Weil nel
1959, sebbene Friedman avesse già 21 anni quando compose il poema. Il
poema ispirò anche il Butterfly Project dell'Olocausto Museum di Houston,
una mostra in cui furono create un milione e mezzo di farfalle di carta
per simboleggiare lo stesso numero di bambini morti nell'Olocausto. Un ritmo
mesto e sconsolato domina questa breve poesia in cui la disperazione dell'animo
si risolve in una coraggiosa e composta visione lirica. Lo squallore del campo
e l'immagine del castagno, che come un gigantesco e freddo candelabro pare
proiettare nel cortile una gelida ombra di morte, acuiscono il dramma della
terribile realtà di un futuro senza speranza. Corre nella commossa compostezza
dei versi finali un brivido di profonda poesia:la dolorosa sensazione
individuale del poeta allarga i suoi orizzonti fino a comprendere l'immane
tragedia di tutto un popolo. In questo senso la breve lirica s'inserisce nella
moderna epopea della Resistenza. Friedman ci ha lasciato in questi pochi versi
una pietosa testimonianza dell'immane tragedia di migliaia di giovani ebrei: Siamo
abituati a piantarci su lunghe file alle sette del mattino, a mezzogiorno e
alle sette di sera, con la gavetta in pugno, per un po’ di acqua tiepida dal
sapore di sale o di caffè o, se va bene, per qualche patata. Ci siamo abituati
a dormire senza letto, a salutare ogni uniforme scendendo dal marciapiede e
risalendo poi sul marciapiede. Ci siamo abituati agli schiaffi senza motivo,alle
botte e alle impiccagioni. Ci siamo abituati a vedere la gente morire nei
propri escrementi, a vedere salire in alto la montagna delle casse da morto, a
vedere i malati giacere nella loro sporcizia e i medici impotenti. Ci siamo
abituati all’arrivo periodico di un migliaio d’infelici e alla corrispondente
partenza di un altro migliaio di esseri ancora più infelici.
La farfalla
L’ultima, proprio
l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
l’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere di castagno
nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.
(Pavel Friedman, Praga 1921 – Auschwitz 1944)

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