di Rina Di Giorgio Cavaliere
Nel 1979 è stato dedicato al bambino
l’anno internazionale dell’Unicef. Il bambino è riconosciuto, difeso e studiato;
inoltre sono definiti e sanciti a livello internazionale i suoi diritti. Si
dedicano ancor oggi convegni e numerose pubblicazioni ai problemi del bambino,
perché la produzione letteraria permane una lente complessiva per interpretare
la vita in ogni suo aspetto.
Certo, per poter elaborare le conoscenze
sul mondo esibito del testo, bisogna avere un senso piuttosto sviluppato del
mondo in sé. Ad esempio, leggendo il racconto celeberrimo della narrativa per
ragazzi “I viaggi di Gulliver” (Jonathan Swift), ci identifichiamo in Gulliver,
il viaggiatore che dalla sua tranquilla e ordinata isola si trova proiettato in
una realtà tanto diversa dalla sua; uomini piccolissimi e uomini giganteschi,
abitudini strane e linguaggi mai uditi da apprendere. Comprendiamo quanto la
sua sia una storia di formazione nel corso della quale il protagonista e il
lettore sono portati a riflettere sull’altro e, di conseguenza, a osservare con
occhi nuovi la realtà che li circonda.
Mentre i versi di GuyTirolien tratti
dalla poesia “Preghiera di un bambino negro” ci parlano degli elementi vitali di
una cultura a noi lontana e di ciò che i bianchi vorrebbero culturalmente imporre.
Ci consentono di partecipare alle esigenze, ai bisogni e ai desideri del
protagonista in un contesto storico e sociale tradizionalmente difficile e che
permane tale: “Signore, io non voglio più andare alla loro scuola / Io voglio
seguire mio padre nelle fresche gole / Quando la notte fluttua nel mistero dei
boschi / Dove vagano gli spiriti che l’alba dissolve. / Voglio andare a piedi
scalzi per i rossi sentieri / Bruciati dalle fiamme di mezzogiorno / Voglio
fare la siesta al piede degli alti manghi / Io preferisco / Ascoltare quel che
dice nella notte / La voce rauca di un vecchio che racconta fumando / Le storie
di Zamba e di compare Coniglio / E molte altre ancora / che non sono nei
libri”.
L’Europa ha conosciuto negli ultimi
decenni consistenti flussi migratori, ma nelle vicende attuali, di cui si parlerà
nei futuri prodotti culturali, proprio i bambini stanno
vivendo una sofferenza nuova e profonda. Tramite la diffusione superficiale ed
effimera dei media è giunta a noi l’immagine del bambino morto, adagiato sulla
spiaggia, quasi dormiente, del bambino che gattona davanti ai poliziotti
schierati in assetto di guerra, del bambino che urla e piange tra la folla dei
migranti, i quali protestano perché siano aperte le frontiere verso la libertà
e non innalzati i muri.
E’ strano, ma capita, quando percepiamo
il dolore e la sofferenza pensiamo a Dio e ci chiediamo il perché. Pensiamo a un
futuro diverso nel quale stati e territori provino a ritrovare la loro natura
di luoghi d’incontro e di scambio, permettendo a tutti, specialmente ai
bambini, di passeggiare e giocare.

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