di Gerardo Antonio Cavaliere
Sembra
avvicinarsi il referendum sull’eutanasia, voluto dall’associazione Luca
Coscioni. Si vuole abrogare il reato dettato dal Codice penale risalente al
1930, quando non esistevano terapie intensive e il confine fra la vita e la
morte era più netto. Attendiamo la decisione della Corte costituzionale.
Allo slogan di
“liberifinoallafine” sono state raggiunte (e superate) le 750mila firme per il
referendum sull’eutanasia, promosso dall’Associazione Luca Coscioni.
La soglia minima
delle 500mila firme consentirà ai promotori di sottoporre ai cittadini italiani
il referendum sull’eutanasia. La campagna referendaria, portata avanti in piena
pandemia anche con strumenti di firma remota, ha riscosso un notevole successo,
anche con l’utilizzo di strumenti digitali per la sottoscrizione a distanza.
Alla classica modalità di sottoscrizione al tavolo presente nelle piazze delle
città è stata aggiunta anche quella della firma tramite Spid o carta d’identità
elettronica. Abbastanza semplice, dunque, per i tantissimi italiani che
utilizzano frequentemente questi nuovi strumenti di identità digitale. Da
questo punto di vista, gli italiani, tacciati di essere sempre al fanalino di
coda per l’evoluzione digitale, si sono distinti per capacità informatiche: nei
primi tre giorni, ben 159 mila italiani hanno firmato on line il referendum
sull’eutanasia. Una bella lezione per tutti coloro che vorranno promuovere
strumenti di democrazia diretta, mediante gli strumenti informatici. Altro
argomento da esaminare, parallelo a quello del referendum, è quello del quorum,
che molti (non solo giuristi) stanno ritenendo ormai desueto o, semmai, da
adattare volta per volta a seconda dei dati di affluenza alle urne delle
votazioni politiche. Bisogna aggiornare il rapporto fra quorum ed elezioni
politiche, in modo tale che la misura del primo sia pari alla metà più uno dei
cittadini che effettivamente hanno espresso un voto politico.
La spinta
referendaria serve da sprone nei confronti di tutto il mondo politico. E’ dal
2013 che è stata depositata in Parlamento la proposta di legge d’iniziativa
popolare in tema di “rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”;
a oggi, inoltre, sono passati tre anni dalla prima sentenza della Corte
costituzionale che sollecitava il Parlamento a intervenire in merito e ben due
anni da quando la Consulta è intervenuta dichiarando l’incostituzionalità
parziale dell’articolo 580 del Codice penale. Il Parlamento, però, in tutti
questi anni non si è ancora interrogato in merito.
Tornando alla
proposta referendaria, essa verte su due ambiti, afferenti alla “gestione”
della propria fine di vita: divieto di trattamenti sanitari e liceità
dell’eutanasia.
Il primo
ambito stabilisce che ogni cittadino può rifiutare l’inizio o la prosecuzione
di trattamenti sanitari, se la persona che lo chiede è un soggetto maggiorenne,
è capace di intendere e di volere e ha manifestato inequivocabilmente tale
rifiuto in un atto scritto con firma autenticata da un ufficiale di anagrafe.
Il secondo
ambito, invece, attiene all’eutanasia in tutte le sue forme, poiché, infatti,
si fa riferimento agli articoli 575, 579, 580 e 593 del Codice penale,
affermando che queste disposizioni non si applicano al medico che abbia
praticato trattamenti eutanasici. Il Codice Penale agli articoli 575, 579 e 580
sanziona rispettivamente l’omicidio (eutanasia attiva e diretta), l’omicidio
del consenziente (eutanasia volontaria), istigazione e aiuto al suicidio (nei
casi in cui taluno istighi o suggerisca ad altri di sottoporsi a eutanasia o lo
assista nel suicidio). Avendo riguardo, poi, alla particolare posizione di
garanzia che connota il medico, il Codice Penale prevede (con il c.d. principio
di equivalenza) all’articolo 40 cpv. che è perseguibile chi ometta il soccorso
nei confronti di un soggetto che è in pericolo di vita (eutanasia passiva). Per
poter essere esente da qualunque reato, però, il medico deve accertarsi che il
paziente, oltre a essere maggiorenne e capace di intendere e di volere, deve
essere “affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi”.
Il quesito
referendario va a toccare argomenti nei quali neppure fra i bioeticisti vi è
coincidenza di vedute. Sostanzialmente si può notare che vi è una netta
divaricazione fra coloro che non ritengono eticamente lecito condurre alla
morte un altro individuo e coloro che fanno della propria autonomia il metro
per la giustezza di qualunque pensiero, anche eutanasico.
La biogiuridica
di carattere libertario e liberale ritiene che sia l’individuo autonomo ad
attribuire il valore alla propria vita, ossia a decidere autonomamente quando
la sua vita vale la pena di essere vissuta. La vita non è ritenuta un valore in
sé, ma è un valore relativo, oggetto della disponibilità dell’uomo.
Molti altri
Autori, però, dimostrano grande sensibilità alla dignità della vita umana,
affermando che in nessun caso si può acconsentire a forme di eutanasia, senza
negare conseguentemente la dignità della persona.
La bioetica di
ispirazione cattolica, come è facile intuire, afferma categoricamente
l’immoralità dell’eutanasia, poiché viola – appunto – proprio il diritto della
persona a morire con dignità. Anzi, si obietta a chi è a favore dell’eutanasia
che le richieste di morte sono molto spesso avanzate per ricevere più attenzione;
ed è appunto questa la dignità che deve essere restituita al malato.
In
conclusione, questo argomento è così spinoso, che andrebbe approfondito in
maniera adeguata e approfondita nelle sedi opportune, cioè in Parlamento.
Difficile da
sostenere, ad avviso di chi scrive, dunque, che “le 750mila firme sono una
reazione alla pandemia”, anche perché proprio in questo difficilissimo periodo
di emergenza sanitaria globale, abbiamo avuto modo di riflettere
“quotidianamente” all’unicità della vita e alla necessità di “portare la pelle
a casa”. Considerate, quindi, le oltre 130 mila morti, vittime del Covid, che
piangiamo in Italia, non sembra proprio il momento di chiederci quale sia il
momento migliore per morire.

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