di Rina Di Giorgio Cavaliere
La presenza
delle nuove tecnologie nella scuola (Piano di Sviluppo delle Tecnologie
Didattiche) è ormai una realtà e non ci meraviglia la recente notizia diffusa
dall’Ocse, riguardante i giovani e le loro potenzialità nell’impiego del titolo
di studio: l’istruzione tecnica dà più lavoro della laurea. Stiamo vivendo una
nuova e inevitabile fase di surmenage informatico nel mondo del lavoro. Tutti i
processi produttivi dell’industria sono guidati e monitorati tramite computer,
il mercato finanziario muove i suoi capitali virtuali in tempo reale attraverso
la telematica, non c’è in definitiva lavoro che non sia controllato
dall’universo dei bit. Internet, di fatto, ha reso l’espressione di villaggio
globale non più una semplice locuzione e la teledocumentazione ha aperto nuove
forme di accesso al sapere, di comunicazione con gli enti privati e pubblici
(Google Tez, l’app antievasione per pagare con lo smartphone).
I vocaboli del
mondo greco e latino, più vicini al senso della nostra parola lavoro, sono
legati a opera. Nel latino del medioevo e nelle varie lingue neolatine d’età
più antica, per esprimere il senso di lavorare, è presente lo stesso tipo di
vocabolo. Alla classe dominante interessa il risultato del lavoro, appunto
l’opera, non importa a quale prezzo ottenuto. Così nelle lingue di questa
società noi ritroviamo il riflesso di tale pensiero: le designazioni del lavoro
prendono nome dall’opera. Solo negli ultimi secoli del medioevo i semi deposti
dal cristianesimo cominciano a dare i loro frutti e inizia un lento, ma luminoso
moto di liberazione degli uomini, che reclamano la loro comune natura. Nascono nuovi
vocaboli a designare il lavoro e il lavoratore, perché la parola non vive nella
fissità di un modello; è la somma di quanto lo sviluppo della umana civiltà ha
prodotto nel tempo.
Il vocabolo italiano lavorare
proviene dal verbo latino “laborare” (star male, soffrire), quindi non più
l’opera, ma la personale fatica. Una società in cui, diversamente dalle antiche
società schiaviste, chi lavora acquisisce la capacità di esprimersi. Nel corso
degli anni nuove leggi in materia d’istruzione, lavoro, previdenza e assistenza
sociale hanno senz’altro contribuito a elevare le condizioni materiali e
sociali di un buona parte della popolazione, ma l’obiettivo è ancora lontano. Basti
pensare a coloro che ancora oggi non hanno i mezzi sufficienti al proprio
sostentamento, perché senza lavoro o costretti a lavorare per un salario che
non permette loro un’esistenza dignitosa. Non uguali agli altri cittadini,
perché più poveri e non istruiti, non possono sentirsi parte di una società di
cui sono ai margini. La nostra Costituzione ritiene, giustamente, che
l’eguaglianza dei diritti di fronte alla legge possa realizzarsi, solo se
accompagnata da un minimo di eguaglianza sostanziale.

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