di Rina Di Giorgio Cavaliere
Nell’aria si respira l’atmosfera del Natale anche quest’anno e da più
parti giungono le dolci note delle melodie natalizie italiane e straniere. Sono
tanti i palpiti della città: nervosa e concitata nei momenti di punta,
sonnolenta nelle mattinate festive o pittoresca nei giorni del mercato e delle
ricorrenze, in questo periodo sfavillante di luci e di regali, propri della
società consumistica.
Possiamo vivere il Natale come nostalgia dell’infanzia o di un tempo
che ha qualcosa di magico e di fiabesco, quindi simbolo di un’età perduta. Viceversa
con sentimento più autentico, inteso come momento di riflessione e di pausa in
seno all’ambiente che ci è più caro, come quello intimistico del poeta: «Non ho voglia / di
tuffarmi / in un gomitolo / di strade / Ho tanta / stanchezza / sulle spalle. /
Lasciatemi così / come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata. /
Qui / non si sente / altro / che il caldo buono. / Sto / con le quattro /
capriole / di fumo / del focolare».(Giuseppe
Ungaretti)
Il nostro rapporto di preghiera con Dio risente di tante impostazioni
in cui è predominante il bisogno e non lo stupore, la gratitudine, il dialogo,
l’amore verso il Divin Bambino adagiato nella mangiatoia del Presepe. Sentimenti
che hanno accompagnato l’umanità attraverso i secoli, come si deduce dalla
sostanziale diversità nell’interpretazione di questo avvenimento biblico, secondo
il periodo storico in cui la Natività è stata oggetto
della manifestazione artistica: dall’Adorazione dei Magi, opera di Giotto,
procedendo sino ai giorni nostri.
E’ il regno della nostra affermazione, insieme alla volontà di riuscire, quasi
sempre il punto centrale della nostra preghiera, pur se a parole chiediamo che
venga il Regno e sia fatta la Sua volontà. Questo prezioso tempo del mistero
liturgico, che ci apprestiamo a rivivere, può essere abitato realmente da
Cristo, che tiene cattedra nel cuore di ognuno, come diceva Sant’Agostino.

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