di Rina Di Giorgio Cavaliere

Gli esami di stato si sono da poco conclusi per migliaia di studenti, ma il mondo della scuola registra ancora proteste e cortei degli insegnanti per la riforma del sistema scolastico, approvata dalla Camera dei Deputati, per il via libero definitivo previsto in settembre.
I nostri studi relativi alle problematiche dell’indagine psicopedagogica sugli esami non poterono competere inizialmente con quelli presenti in altre nazioni come la Francia, la Svizzera, il Belgio, l’Inghilterra e soprattutto gli Stati Uniti. L’Italia non aveva partecipato all’inchiesta internazionale, avente per oggetto concezioni, metodi, tecniche e importanza pedagogica e sociale degli esami e concorsi, patrocinata dalla Carnegie Corporation sotto gli auspici dell’International Institute of Education of Teacher’s College della Columbia University. Parliamo degli anni tra il 1930 e 1940, allorché si realizzò un fecondo scambio di idee con altre commissioni, inoltre l’inizio di ricerche e di una produzione scientifica al riguardo.
Da noi l’argomento cominciò a porsi soltanto dopo il secondo conflitto mondiale; negli anni Cinquanta ebbe inizio un lavoro di riflessione e d’indagine per allineare il paese con quelli industrialmente più progrediti circa un problema di così grande rilevanza pedagogica e sociale. I primi studi richiamarono l’attenzione degli educatori e degli uomini di scuola sull’insufficienza del sistema valutativo tradizionale per concordare con quelli di altri ricercatori stranieri: Wilson e Hoke (Stati Uniti), Hartog e Rhodes (Inghilterra), Laugier e Piéron (Francia).
La critica docimologica mostrava la fragilità dei mezzi tradizionalmente impiegati; cercava di migliorare mediante nuove tecniche gli esami scritti e intendeva rinnovare, attraverso l’impiego di più adeguati strumenti, gli esami orali. Alcuni studiosi italiani, tra cui De Castro, Visalberghi e Calonghi, nelle loro considerazioni globali espressero perplessità circa gli elementi soggettivi che possono introdursi nei momenti della valutazione: al livello dello stimolo, nella valutazione delle risposte e nelle espressioni del giudizio. In seguito gli studi compiuti in Italia sono stati in proposito numerosi anche sotto l’aspetto psicologico, il nesso tra intelligenza ed esito scolastico; ci riferiamo ai contributi di Andreani, Canestrari, Lepore.
Autori come l’Agazzi, sulla scorta di vari documenti redatti in sede di Consiglio d’Europa, si sono occupati degli esami sotto il profilo pedagogico; sua l’esortazione agli insegnanti “ad esercitare con coscienza ed efficacia la funzione non di giudici bensì di educatori”. In sintesi l’attività scolastica ha come fine la formazione e l’educazione dell’alunno secondo i tratti che gli sono propri; il programma è solo un mezzo per raggiungere questa meta, mentre l’esame ha come scopo l’avvaloramento della personalità, nel cui ambito la formazione dell’intelligenza e degli abiti mentali, sono assai più importanti di quanto non sia il nozionismo o il verbalismo.
Anche l’accesso agli studi universitari e il proseguimento in essi implicano una serie di fattori positivi che i precedenti ordini di scuola devono gradualmente porre in luce. In questo d’altronde consiste la funzione essenziale degli esami, stabilire i livelli di cultura e di umanità, accertare abilità e attitudini necessarie per assolvere determinati compiti nella società del domani.

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