di Rina Di Giorgio Cavaliere
La popolazione
mondiale ha superato gli otto miliardi di abitanti e la notizia ha riportato
l’attenzione sulla questione demografica, strettamente connessa alle dinamiche
economiche, ereditata dal secolo scorso: straordinaria crescita quantitativa e
qualitativa delle risorse disponibili e, nel contempo, distruzione e
dissipazione della ricchezza sociale su vastissima scala. Le Nazioni Unite hanno
definito l’evento (verificatosi durante i lavori della COP27) “una importante
pietra miliare nello sviluppo umano”, aggiungendo “nostra responsabilità
condivisa di prenderci cura del nostro pianeta”. E’ una battaglia di civiltà
che impegna l’ONU sin dal lontano 1945. Al termine del secondo conflitto
mondiale nel suo atto costitutivo tra le finalità, accanto alla pace, era
indicata quella dello sviluppo inteso come “progresso economico e sociale di
tutti i popoli”. L’Organizzazione ha visto negli anni, almeno sulla carta, la
convinta adesione di numerosi altri soggetti della comunità politica,
scientifica, economica a livello planetario. Si tratta di appurare in quale
misura le buone ragioni della politica e della convivenza tra popoli avranno o
meno la meglio sulle logiche del mercato; i nuovi termini della questione sociale
potrebbero trasformarsi in una sfida dagli sbocchi imprevedibili, se il mercato
dovesse diventare l’unico arbitro delle scelte future.
Le nuove
tecnologie, poi, rendono ancora più complesso il problema ecologico ed
eco-sistemico; la natura con la sua concretezza costringe l’uomo a fare i conti
con l’ambiente, mentre i media, ormai parte integrante di esso, aprono ad un
ambiente virtuale dove la realtà è sempre più fluida. La catastrofe della
natura porta di conseguenza al disastro dell’economia e della cultura, in
particolare a danno dei poveri e degli ultimi, esclusi dal punto di vista
umano, economico, politico e culturale. Non è stata un’utopia sperare che nell’assemblea
plenaria della COP27 di Sham el-Sheikh fosse approvato un documento finale che,
pur salvando l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi
dai livelli preindustriali, offrisse il risultato più importante: l’accordo
sugli aiuti ai Paesi più vulnerabili. Su otto miliardi di persone uno su dieci
ha fame (Coldiretti); è un duro atto di accusa contro chi rimane insensibile
alla tragedia della fame, che coinvolge centinaia di milioni di nostri simili.
Nel libro di S. Boeri “Eppure c’è posto” si dimostra che i problemi della
sovrappopolazione potrebbero essere superati, se solo si sfruttassero
oculatamente le inesauribili risorse della terra.
Orientare in
senso ecologico la produzione e riorganizzare l’attività produttiva secondo i
criteri dell’efficienza ambientale, ha rappresentato nel passato una risposta
strategica a livello sperimentale; spesso sono state scelte ancora lontane
dallo scenario di ecologia industriale, finalizzata alla riduzione degli
impatti antropici sulle risorse naturali (economia a ciclo chiuso). Alla fine
degli anni Ottanta alcuni esempi di ecologia industriale si sono verificati
negli USA. Il processo di simbiosi si è realizzato mediante il finanziamento di
programmi di sviluppo di parchi eco-industriali, in particolare nel 1990,
quando sono stati erogati finanziamenti per la realizzazione di 4 aree pilota e
approvati incentivi per la realizzazione di altri 12 parchi. L’esempio più
eclatante è stato quello di Kalundborg, piccola area industriale della costa
danese dove il processo di simbiosi industriale si è verificato negli anni
Settanta: alcune aziende hanno ridotto sensibilmente i costi d’impresa con un
sistema innovativo di gestione dei rifiuti e un utilizzo efficiente della
risorsa idrica. In Italia il progetto studiato dalla Ecosistemi per conto
dell’Arpat ha rappresentato sin dagli anni ’90 una via originale nei distretti
industriali dove già esistono numerose interrelazioni tra attività produttive,
organizzazioni e istituzioni locali.
Il nostro
paese entro il 2030 dovrà ridurre le emissioni di gas serra nei settori di
agricoltura, trasporti, edifici e piccola industria del 43,7% rispetto al 2005,
come da intesa nel recente incontro di Bruxelles ove gli Stati membri hanno
fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di
almeno il 55% rispetto al 1990 entro la fine del decennio. Comprendere e
collegare le informazioni sul territorio rimane il tavolo di gioco di tutte le
opportunità umane: interpretare il territorio per ritrovare l’identità dei
paesaggi, sintesi di natura, società, cultura. L’uso intelligente ed ecocompatibile
delle risorse ambientali e culturali permane la chiave di lettura da cui è
possibile ripensare il sistema economico in modo che, già da oggi, si sappia
dire come dovrà essere questo mondo per essere più civile, in pace con
l’ambiente e in armonia con il futuro.

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