di Rina Di Giorgio Cavaliere
In questi anni di rinnovamento nella scuola un richiamo alla serietà
d’impegno negli studi di qualsiasi indirizzo e livello potrebbe venire da un
autentico rilancio dello studio del latino, beninteso didatticamente al passo
con i tempi. L’Italia, culla della latinità, rischia di alienare questo suo
retaggio proprio nel momento in cui numerosi altri paesi vanno riscoprendo il
valore inestimabile di un patrimonio culturale particolarmente necessario a una
società immersa nell’attuale civiltà tecnologica (appositi siti, tra i primi
uno finlandese e uno inglese, traducono i notiziari in latino e li inviano in
rete). Il latino trova numerosi cultori all’estero e non si tratta soltanto di
paesi dell’area romanza come la Francia, ma di altri come l’Olanda, la
Germania, i Paesi Slavi, per non parlare di quelli extraeuropei, a cominciare
dalla Russia.
La conferma più indicativa della presenza qualificante della lingua dei
nostri avi è offerta dalle “scuole europee”, scuole-pilota sul piano giuridico,
culturale e didattico istituite negli anni Settanta; inizialmente per
accogliere i figli dei funzionari della Comunità europea poi aperte a tutti e
caratterizzate da un notevole spazio riservato allo studio del latino. La
parola non vive e non opera nella fissità di un modello è, invece, la somma di
quanto lo sviluppo della umana civiltà ha prodotto nel corso del tempo, ad
esempio l’uso antico e quello moderno della parola classe. Con “classis” i
latini indicavano ogni insieme ordinato: cittadini di uno stesso censo, la
flotta. Dopo il crollo dell’impero romano la parola scompare, per ricomparire
alla fine del Quattrocento come espressione dotta.
Prima nel tardo Medioevo, poi con l’Umanesimo l’insegnamento si
riordina e ai gruppi omogeni di studenti viene dato il nome che i latini
avevano adoperato per le varie categorie di cittadini: classi. Quando si
sviluppano le nuove scienze descrittive e sperimentali, i grandi scienziati del
Seicento si servono del vecchio vocabolo per denotare l’insieme di animali e di
piante in quanto raccolti scientificamente e razionalmente: l’uso di classe in
zoologia e botanica e le parole classificazione e classificare. Durante il
Settecento il vocabolo torna ad applicarsi alla realtà sociale e gli economisti
del Settecento e del primo Ottocento parlano di classi di persone, lavoratori,
produttori, ossia gruppi che dentro una stessa società si distinguono gli uni
dagli altri in virtù della stessa funzione.
Un discorso a parte concerne l’attualità della lingua latina riferita
ad alcuni vocaboli, che con forza sono entrati nell’uso comune del nostro
linguaggio giornaliero. Va da sé il riferimento, purtroppo necessario, al
termine virus (dal latino virus, i, n. veleno) da oltre un anno utilizzato nel mondo
a causa della pandemia da Covid-19.
Di certo pochi sono in grado di usare questa lingua come strumento di lettura,
ma come sarebbe possibile ignorare la gran mole del messaggio culturale offerto
dai classici, così altamente significativa che il trascurarne i contenuti
significherebbe privarci di un’eredità spirituale ancor oggi non priva di
grandi richiami? Lo studioso Q. Cataudella, riferendosi all’appello del
filologo marxista G. Thomson, che richiama le classi operaie all’interesse per
la cultura classica, così scrive: «. . . non privarsi di questa arma
potentissima, la più efficace a dare agli uomini il senso dell’umana dignità e
a farli conquistatori di anime e padroni dell’avvenire».

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