di Danila Paradiso

Lucera, 24 settembre 2019.
Si è chiuso domenica 22 settembre il XVII Festival della Letteratura Mediterranea, in scena nel weekend scorso a Lucera. Tre giorni intensi e partecipati di incontri, audio reportage e performance per sviscerare il tema indicato dal titolo: Stato Privato di Agitazione. “Cosa vi agita, che cosa vorreste gridare in questo momento?”, chiedevano gli organizzatori attraverso la presentazione del visual e prima di lanciare il programma in conferenza stampa. È partito da lì una sorta di “prequel” del Festival, con l’interazione prima attraverso i social e poi con la comparsa nel centro lucerino di lenzuoli bianchi stesi ai balconi che recavano messaggi scritti a mano. “Dare un nome al proprio stato di agitazione, scriverlo su un vecchio lenzuolo e lasciarlo steso al vento”: questa la pratica incoraggiata su consiglio degli autori ispiratori del tema, scrittori che sono stati annunciati come “influencer” e veri e propri ospiti dell’edizione (Rocco Scotellaro, Antonio Gramsci, Tommaso Fiore, Beppe Fenoglio e Alessandro Leogrande). Dall’agitazione privata, personale, all’incontro e ascolto reciproco di voci che ne parlano, se la raccontano, che trovano parole per dirla, conoscerla. L’edizione n.17 (così come la precedente) ha voluto rivolgersi direttamente alla comunità, a chi abita Lucera e i suoi dintorni, a chi in particolare vive uno stato di frustrazione e avverte la mancanza di spazi e luoghi dove trovarsi per esprimersi, guardarsi negli occhi, abbracciarsi, “tornare a innamorarsi”. Elemento portante e veramente suggestivo dell’intero programma è stato il momento del Rito, a cura di Marco Terenzio Barbaro. Marco e i ragazzi che hanno felicemente collaborato alla sua riuscita – Emanuele Alfieri, Vincenzo De Biase, Antonella Graziano, Lucia Iuliani, Andrea Vellonio e Emanuel Ziccardi – hanno inscenato la rappresentazione di una rivolta, il risveglio di un’agitazione comune paralizzata però sempre dalla Paura (impersonata da Barbaro), padrona e cerimoniera del rito stesso con le sue urla e imprecazioni dialettali. “A paure ce vole. Ce vole a paure”. La paura ci vuole. Ci vuole la paura. Ma per oltrepassare il confine della paura serve studio, conoscenza, dialogo, cuore e cervello. La corda è dunque il simbolo di questo andare oltre: è ciò che vibra, saltella, balza, e avvolge. La corda diventa simbolo di comunità. Il Dopofestival nel Vecchio Parco della Villa Comunale era inteso infatti come momento finale in cui ritrovarsi per cantare, suonare, ballare e custodire quel che di bello si può fare insieme: starsi accanto, tutti dalla stessa parte, condividendo emozioni ed esperienze.

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